domenica 22 giugno 2025

Gentili passeggeri

    Niko stringeva tra le dita il pacchetto sgualcito di salviette rinfrescanti al limone, seduto nel retro del pulmino che lo riportava verso il parcheggio remoto dell’aeroporto. Aveva fallito di
nuovo. Zero vendite. Non un grattaevinci, non un caffè, nemmeno il profumo alla vaniglia scontato del 20% del quale tutti dicevano "si vende da solo".
    I colleghi lo ignoravano. La capocabina, durante lo sbarco, lo aveva umiliato davanti ai passeggeri: "Niko, ti rendi conto di aver detto una sola volta che c'erano articoli in promozione? Qui non siamo un'associazione di volontariato".
Niko si era chiuso nel suo silenzio. Non era capace. Non era tagliato. Non era... venditore.
    Nel parcheggio, tra i container e il nulla, accadde. Una figura si avvicinò. Alta, strana, con un sorriso pacato. Si chiamava Eli'ax, e non veniva da qui. Parlava tutte le lingue del mondo e un'altra in più. Gli propose uno scambio. Lui era un extraterrestre, la sua natura e la sua tecnologia potevano entrare nelle menti umane e anche trasformare la materia. Niko avrebbe dormito sull'astronave, senza sogni né paura. Eli'ax avrebbe preso il suo posto. "Voglio provare il tuo lavoro". 
    Iniziò così la parabola ascendente di Niko. Ma non Niko. Eli'ax, nella sua forma umana, sorrideva ai passeggeri con occhi che vedevano dentro. Sapeva esattamente cosa dire, che tono usare, quando far leva su un desiderio latente o su una fragilità nascosta. I passeggeri compravano. Tutto.
Profumi generici prodotti per pochi centesimi? Esauriti. Grattaevinci con probabilità ridicole? Finiti. Snack al 500% del prezzo di terra? Polverizzati.
    Il sistema notò. Il software interno della compagnia registrò numeri mai visti. Niko-Eli'ax venne promosso. Ricevette un bonus. Divenne formatore. Poi testimonial di un video motivazionale con lo slogan: "Il cielo è il tuo negozio!".
    Alla festa annuale dei migliori venditori, in un hotel vicino all'aeroporto, con un buffet da centro congressi di provincia e luci LED intermittenti, Niko tornò. Quello vero. Pallido, spaesato, vestito con l'uniforme che non indossava da mesi. Si nascose sotto il palco. Poi, mentre il finto "Niko" (cioè Eli'ax) stava per ricevere il premio d'oro per "vendite straordinarie su tratta interna di breve raggio", uscì dal nascondiglio e si fece avanti.
"Scusate... sono io. Il vero Niko. Quello che non riusciva a vendere".
Silenzio. Risatine. Imbarazzo.
Salì sul palco. Eli'ax lo guardò. Poi, sorridendo, fece un passo indietro. E svanì. Letteralmente.
Niko restò con il microfono in mano. Un istante di buio. Poi parlò:
"So che sembrerà assurdo, ma sono stato sostituito. Da qualcuno che non era di questo mondo. Ha fatto ciò che nessun umano dovrebbe fare: ha usato poteri mentali per convincere la gente a comprare cose inutili. Non perché fosse cattivo, ma perché pensava che questo fosse il senso del mio lavoro".
"Per mesi ho lavorato sotto pressione. Ogni volo era una gara. Ogni passeggero, un bersaglio. Ogni collega, un rivale. Venivamo monitorati, classificati, schedati. Il nostro valore umano ridotto a quanti snack riuscivamo a vendere tra una turbolenza e l'altra".
"Ma io ho scelto questo mestiere per altri motivi. Per dare informazioni, sicurezza, conforto. Per aiutare chi ha paura di volare. Per indicare le uscite d'emergenza, non i profumi".
"Le vendite a bordo non sono solo fastidiose. Sono una forma di pressione psicologica sistematica sui lavoratori. Ci viene chiesto di sorridere, convincere, insistere, anche quando un passeggero dorme, è ansioso o sta leggendo. Ciò compromette l'attenzione. Stanca la mente. Anestetizza la nostra vera funzione".
"Un assistente di volo non è un venditore con le ali. È un professionista della sicurezza. E più gli chiediamo di vendere grattaevinci, meno sarà pronto a gestire un atterraggio d'emergenza".
Si fece silenzio. Poi la dirigente commerciale, con voce fredda e un sorriso di plastica, prese la parola: "Grazie, Niko, per il tuo contributo. Ma il mondo reale funziona con i numeri. Le emozioni sono importanti, ma da sole non pagano il carburante. Cerca di essere più realista, se vuoi continuare a lavorare".
Mormorii. Applausi tiepidi. Poi il presentatore chiamò il nome del premiato successivo.
Ma nel buio del fondo sala, Eli'ax ascoltava ancora.
    Nei giorni successivi, sui voli della compagnia cominciarono a verificarsi eventi strani.
Le patatine servite a bordo lasciavano un sapore amarognolo che causava nausea a molti passeggeri. I panini davano leggeri problemi gastrointestinali. I profumi comprati a bordo, una volta a terra, emanavano odori sgradevoli, come di plastica fusa e muschio stantio.
E soprattutto: i grattaevinci iniziarono a risultare tutti vincenti. Cifre da 100 a 5.000 euro. E via con i reclami, le richieste di riscatto, le lamentele su blog e social. La compagnia fu costretta a sospendere la vendita di grattaevinci per evitare il collasso economico.
Indagini. Confusione. Paura.
    Piano piano, si comprese che il gioco non valeva più la candela. Che forzare i dipendenti a vendere prodotti inutili danneggiava l’immagine dell’azienda e la sicurezza a bordo.
Furono riviste le politiche commerciali. I venditori furono sgravati dalla pressione ossessiva. Gli assistenti di volo tornarono ad avere briefing sulla sicurezza invece che corsi di vendita. Le premiazioni si trasformarono in riconoscimenti per chi gestiva con professionalità situazioni critiche.
    Niko tornò a volare. Nessuno parlava più dell'alieno. Ma ogni tanto, al decollo, sentiva come uno sguardo familiare nascosto tra le nuvole. Come se qualcuno, da lontano, stesse ancora vegliando sul modo in cui viene trattato chi serve un bicchiere d’acqua a diecimila metri d’altezza.
    Nel silenzio cosmico della sua astronave mimetizzata tra le orbite basse, Eli'ax prese nota delle reazioni umane, dei loro ostacoli, delle loro risposte emotive.
Il mestiere di assistente di volo era stato istruttivo.
Adesso, però, era pronto per una nuova esperienza.
Sul monitor olografico si aprivano i profili di altre professioni: operatore di call center, insegnante precario, barista sottopagato, portalettere in bici, medico di famiglia...
    Eli'ax sorrise, selezionò una voce a caso e mormorò: "Vediamo com’è…". 

Francesco Spadaro 22.06.25
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giovedì 19 giugno 2025

IN CAMMINO

    C'è un gesto che attraversa la storia umana più di ogni altro: camminare insieme. Marciare. La marcia è l’archetipo del cambiamento collettivo. È l’atto con cui i popoli decidono di non restare fermi. Quando le parole non bastano più e le idee vogliono farsi carne, si cammina. In silenzio o in coro, per protesta o per speranza, ma sempre con un obiettivo più grande davanti a sé.
    La marcia è il contrario dell’indifferenza: è dire “ci siamo” con i piedi, con il corpo, con la direzione. È movimento, comunità, ostinazione. E nel profondo, ogni marcia – anche quella più
piccola – è un viaggio verso ciò che ancora non esiste. Una sfida al presente, in nome di un futuro diverso.
    Ho voluto rappresentare tutto questo con un disegno. Una tavola semplice, stilizzata, ma carica di senso per me: cinque figure camminano verso il mare, verso due navi in attesa. Non sono generiche. Sono personaggi precisi, legati a una storia precisa. La mia.
    Li ho tracciati per visualizzare quello che avevo dentro: un’idea narrativa che da tempo cercava la forma giusta. Da questo disegno è nato il desiderio di raccontare una marcia collettiva fatta di dubbi, scelte, identità in crisi e alleanze improbabili.
    È così che è nato il mio primo romanzo: una distopia con un’anima malinconica e grottesca, sospesa tra il thriller politico, la fiaba adulta e l’assurdo.
    So bene che chi ama la fantascienza “seria” potrebbe storcere il naso: nel mio mondo c’è spazio per l’identità e per il ridicolo, per la tecnologia e per la tenerezza. Ma è questo l’equilibrio in cui mi riconosco. Un equilibrio fragile, a volte buffo, spesso inquietante. Come il nostro presente.
    Serviva un impianto narrativo che parlasse a tutti, anche a chi non ama la fantascienza, anche a chi della distopia non sa nulla. E così mi sono affidato a una struttura antica, quasi stereotipata, ma sempre efficace: quella in cui un uomo qualunque si trova coinvolto in un meccanismo più grande di lui.
    È l’archetipo dell’avventura moderna. L’individuo che inciampa in qualcosa di enorme, che scopre quanto il mondo possa essere diverso da come lo immaginava, e deve decidere se ignorarlo o agire.
    Ma una struttura, da sola, non fa una buona storia. A fare la differenza è il tono. È lo stile. È lo sguardo.
Il mio romanzo affronta temi inquietanti, ma prova a farlo con una lingua che si concede digressioni, ironia, tenerezza, sbavature.
Chi cerca una distopia cupa, perfettamente razionale, sempre coerente e priva di sbalzi potrebbe trovarlo spiazzante.
Chi invece accetta il fatto che anche nel disastro ci sia spazio per l’assurdo, per il buffo, per il fragile, allora forse potrà entrarci dentro.
    Proprio per visualizzare questo mondo e i suoi protagonisti, ho disegnato quella scena: la visione di quelle cinque figure viste di spalle e in cammino verso due navi ormeggiate mi era necessaria per scrivere il romanzo. 
Non sono eroi. Non sono nemmeno una squadra. Sono semplicemente persone – ciascuna con un bagaglio diverso, un passato ingombrante, una verità a metà – che si ritrovano a dover marciare insieme.
C’è chi ha l’eleganza di chi cammina tra gli altri con lo sguardo altrove, cercando qualcosa che ancora non ha un nome. Chi porta dentro un’inquietudine antica e una ferita aperta. Chi ha il potere, e lo veste di competenza per renderlo accettabile. Chi cammina perché non può più tornare indietro da ciò che, suo malgrado, ha messo in moto. E infine c’è l’elemento che stona. La figura che non dovrebbe esserci, e invece è lì. Una presenza metallica, fuori scala, quasi infantile. Una creatura artificiale, ma più umana di molti altri.
Non ho detto chi sono, né lo dirò qui. Ma chi li incontrerà nel romanzo, li riconoscerà.
    Ho disegnato questa marcia perché era l’unico modo per far capire — senza spiegare — che ciò che volevo raccontare non era una trama, ma un’energia.
Il gesto di mettersi in cammino anche quando non si ha nessuna garanzia.
La fiducia, l’ostinazione, il dubbio, l’assurdità: tutto ciò che ci rende fragili e quindi umani.
    Questa marcia, nel romanzo, attraversa un luogo che sembra reale ma non ha nome.
È una città affacciata sul mare, attraversata da scie di potere, da strutture opache, da linee invisibili che separano chi sa da chi esegue.
Un luogo dove tutto pare familiare, ma nulla è affidabile.
Dove il presente ha la consistenza del ricordo, e il futuro assomiglia troppo a una copia imperfetta di ciò che già è stato.
    I protagonisti – riluttanti, mal assortiti, a volte persino inadeguati – non hanno scelta: devono muoversi.
Devono scoprire se dietro certe coincidenze si nasconde un piano. Se i cambiamenti che osservano sono frutto di un’evoluzione naturale, o di un intervento preciso, sistematico, scientifico.
Ma soprattutto, devono capire se è ancora possibile essere sé stessi in un mondo dove la propria identità non è più garantita.
    Oggi, quel romanzo è finito. È stato consegnato a chi deve valutarlo. Ma la sua marcia continua. Non so se vedrà la luce, non so quando, né dove. Ma il cammino, quello sì, è iniziato. Ora cammina da solo, in attesa di sapere se potrà incontrare i suoi lettori. Questa è la marcia che lo accompagna.
Trovi  👉qui👈 un piccolo estratto per chi ama le storie
che iniziano con certezze… e finiscono con domande