La domanda che ci siamo posti in questi anni di pandemia è se la crisi, le privazioni, il lockdown, la malattia, le perdite, ci abbiano reso migliori o peggiori, o se l'umanità in fondo resti sempre la stessa; se l'abitudine, l'oblio, ci rendano più aridi; se le prove della vita ci insegnino ad apprezzare ciò che conta veramente.
Virzì narra le vicissitudini di diversi personaggi in una Roma oppressa da moltissimo tempo da una gravissima siccità che ha ridotto al minimo le riserve di acqua. Assistiamo alla vita dell'Urbe con acqua razionata, scarafaggi sparsi ovunque, ed il Tevere completamente asciutto. La struttura di quest'opera (varia umanità inserita in un momento di crisi quasi apocalittica) rievoca il film "Il giudizio universale" di Vittorio De Sica, su soggetto e sceneggiatura di Cesare Zavattini. In quel film del 1961, accade che una voce annunci dal cielo «Alle 18 comincia il Giudizio Universale», e l'annuncio si ripete con sempre maggiore frequenza. Varia umanità reagisce in modo diverso alla prospettiva di questa annunciata fine del mondo. Fra tutti i personaggi ricordo in modo particolare il mediatore nella compravendita di bambini, interpretato da Alberto Sordi.
In una Roma inaridita, invasa dalla paura e da una stanca emergenza, veniamo a conoscere Antonio, interpretato da Silvio Orlando, un uxoricida che da tanto tempo è rinchiuso nel carcere di Rebibbia e non immagina né forse desidera una vita fuori di galera. Può accadere che viva una incredibile avventura senza che lui abbia fatto nulla per cambiare la sua situazione?
Tra le strade assolate della capitale Loris, interpretato da Valerio Mastandrea, guida un'auto a "noleggio con conducente"; si intuisce che un tempo era stato l'autista di un importante uomo politico. Adesso Loris sta male, e conversa coi suoi fantasmi: i suoi genitori, il suo ministro... Ha una figlia che suonerà a un concerto importante, ma accadrà qualcosa che ci porterà a vedere una delle scene più dolci e commoventi che un film come questo, grottesco e amaro, possa mostrarci. Con una straordinaria Claudia Pandolfi, che interpreta un medico che si sente inaridire...
E c'è Max Tortora, con un personaggio che davvero sembra uscire da un film di V. De Sica e C. Zavattini, o L. Comencini. Ed Emanuela Fanelli, brava come non mai, che interpreta la figlia di un ricco proprietario di un hotel di lusso. A lei Virzì assegna una parte sorprendente, massima espressione del fatto che sia un film con diversi personaggi negativi o positivi allo stesso tempo. Come il Professor Del Vecchio, interpretato da Diego Ribon, lo scienziato che dalla nicchia delle aule universitarie si trova alla ribalta come esperto in TV, situazione che è divenuta a noi familiare in questi ultimi tre anni. Al punto che non ci sembrerà per nulla assurdo vedere quest'uomo non abituato alla popolarità mediatica, invitato a una cenetta intima da una famosa affascinante attrice, Valentina, una specie di Monica Bellucci. Interpretata da Monica Bellucci. Da segnalare anche Tommaso Ragno, che interpreta un attore in difficoltà aggrappato alla visibilità sui social, ed Elena Lietti, la moglie che lui trascura tutto preso dal suo nuovo ruolo di influencer.
I film come questo, film corali dove si intrecciano le storie di vari personaggi attorno a una situazione generale, si trovano di fronte a una difficile mancanza di una figura di spicco. Il regista deve trovare allora qualcosa che funga da protagonista. Sarebbe noioso andare al cinema per sentirsi appena raccontare di crisi climatica, infezioni, crisi energetica. Ne abbiamo abbastanza dalla cronaca, purtroppo. Il film è una scommessa vinta perché a far da protagonista è la contrapposizione tra la precarietà di ogni cosa (il nostro corpo, la situazione economica, la pace, la stabilità sociale...) e la capacità di interagire con il reale che ogni uomo ha fino all' ultimo respiro, fino all'ultima goccia d'acqua. Se non credessimo in questa "forza dell' essere" nessuno scriverebbe storie come questa, o avrebbe ancora voglia di vedere la rappresentazione di una distopia, specie quando la sofferenza, la povertà, la guerra, sono sotto gli occhi di tutti. Eppure c'è il bisogno di raccontare e di veder raccontare questa sfida. La fantasia alza l'asticella della prova alla quale l'uomo è sottoposto, i maestri della fantascienza narrano questa visione, a quel punto si passa il confine tra l'ordinario e lo straordinario. Che è dato non dal prodigio tecnologico o alieno, ma da una vittoria umana di fronte alla precarietà delle cose della vita. L'avidità, la guerra, il tradimento, presenti in queste narrazioni come purtroppo in una realtà come la nostra, si contrappongono all'amore, all'amicizia, alla fiducia nel bene e alla speranza "nonostante tutto". Un finale del quale è bene non vi dica nulla conferma che ci troviamo di fronte a un grande film. Lo voglio rivedere. Spero che porti a casa un bel po' di David, perché è un film fatto bene. Si sappia che la post-produzione per raffigurare una Roma arida col Tevere in secca è durata mesi, perché il film, pur distopico, apparisse realistico più che apocalittico. La sigla finale è una scelta significativa: "Mi sei scoppiato dentro il cuore", brano cantato da Mina e scritto da Bruno Canfora e Lina Wertmüller, è una canzone d'amore che per forza è un inno alla vita.
Possiamo pensare che sia appena il ritratto di un mondo in difficoltà, ma il paradigma dell'acqua è invece l'espediente per raccontare come l'uomo ha qualcosa dentro di sé che emerge solo quando la spiazzante mancanza di ciò che dava per scontato lo mette davanti al suo vero io. Il passato recente, il drammatico presente, il futuro distopico, attraverso "siccità" sono riuniti in una raffigurazione che si sintetizza in una domanda: "Di cosa ha veramente sete l'uomo?"
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