Il nuovo film di James Gunn è una coraggiosa reinvenzione dell'Uomo d'Acciaio. Non è un'ode nostalgica né una riedizione epica dell’eroe. È una ventata di originalità: parte nel vivo delle vicende, tre anni dopo l'ascesa di Superman, con David Corenswet nei panni di un eroe sensibile, a tratti ingenuo, e dotato di un cuore da umano, non divino.
Gunn mette da parte il cliché dell’origine per puntare su un eroe già formatosi: un Superman che lotta con la propria identità e un passato kryptoniano tormentato da un messaggio cifrato dei genitori biologici.
Non solo superpoteri, ma un dramma interiore autentico. Il film evita le ridondanze pur dovendo affrontare un'icona narrata in diversi film e in molte incarnazioni televisive.
Ed è sorprendente che un comic-movie sia anche un film politico: questo Superman è un migrante simbolico, ma ha anche una necessità impellente di effettuare un intervento in una guerra. Non dissimile da una guerra che conosciamo nella vita reale. L'atteggiamento di Superman genera reazioni contrastanti, sollevando questioni morali sull’ingerenza umanitaria . Un’operazione coraggiosa: non propagandistica, ma un invito a riflettere.
Con humor da Gunn (ricordiamoci che a lui dobbiamo i film dei Guardiani della Galassia), si respira un dinamismo che spazza via la cupezza dei film di Snyder. Lo stile è leggero, ironico e vivace, eppure il ritmo tiene, fruibile anche per chi storcerebbe il naso davanti al solito fumettone patinato. Molti fans dei film ispirati dai personaggi dei fumetti non sono più attratti da questo genere di pellicole, bisogna attrarli con un linguaggio reinventato, non giacere su allori oramai essiccati.
David Corenswet riesce a rendere Superman empatico, non un dio, ma un uomo con dubbi sinceri. Rachel Brosnahan offre una Lois Lane moderna e determinata, giornalista di spessore, non solo la ragazza dell'eroe. Nicholas Hoult incarna un Lex Luthor freddo, ossessionato e intelligente, un avversario credibile per il protagonista. Cattivo in maniera inquietante, privo del fascino dei Luthor un po' ironici che lo hanno preceduto in altre narrazioni. Gunn lo delinea come incarnazione credibile del male, un villain che sembra sbucare dal mondo reale. Se vi ricorda dei potenti odierni, se le cose che ha per le mani vi sembra di averle viste nei telegiornali del nostro tempo, non è un caso: è proprio lì che questa storia vuole colpire.
In qusto film non c’è traccia di "doverosi" omaggi agli anni Ottanta, di toni cupi che per anni hanno caratterizzato le narrazioni cinematografiche del DC Universe: niente “miracolo cinematografico”, niente rimandi nostalgici. Gunn punta a una autentica discontinuità che è una scommessa, per me, vinta.
Il film sta dividendo nettamente: da una parte chi lo definisce "woke" per l'enfasi sui migranti e la geopolitica; dall’altra chi apprezza la modernità e l’intelligenza della trama . Chi accusa il film di scarsa profondità e di adottare risoluzioni semplicistiche, chi ne riconosce il coraggio e l'intelligenza .
Secondo me il film è divertente e non annoia mai proprio perchè non è un ritorno al passato, né un remake celebrativo. È un Superman nuovo, umano, che mette in discussione la propria natura e il suo ruolo nel mondo. Politicamente coraggioso, con riflessioni su immigrazione e potere, funziona come divertimento intelligente, tra ironia e cuore.
Si può rinnovare anche una delle icone più sfruttate al cinema? Gunn ci dimostra che è possibile.
Il film è disseminato di trovate che definire “geniali” non è esagerato, perché riescono a sorprendere anche chi ha visto ogni versione possibile dell’Uomo d’Acciaio. Alcuni personaggi secondari — che non cito per non guastare il divertimento — rappresentano variazioni ironiche e affettuose di archetipi ormai scoloriti.
C’è un cane che sembra… un cane. Niente di più. Ma in questo mondo narrativo, anche un cane autenticamente cane può fare la differenza.
C’è un'impiegata "svampita" che lavora per il peggiore dei supercattivi e si innamora del più candido dei fotografi.
C’è persino una spiegazione, finalmente intelligente e coerente, per quella vecchia domanda: “Ma davvero bastano un paio di occhiali a nascondere Clark Kent?” (Sì, e quando lo scopri, ha pure senso).
Ci sono alieni, superumani, intelligenze artificiali, popoli oppressi e padri cosmici: ognuno inserito con una logica narrativa fresca e coerente, tra serietà e leggerezza.
Anche quando il film sembra flirtare con il paradosso comico (una stanza piena di scimmie che digitano a caso su tastiere), c'è sempre un fondo di intelligenza narrativa che lo rende funzionale, mai gratuito. Gunn prende in giro i cliché... ma li riabilita con affetto.
“Superman (2025)" è una sorpresa: un reboot che non chiede permesso. È un film divertente, umano e politicamente audace, senza paura di ridisegnare un’icona. Non un nostalgico omaggio, ma un documento sul presente. Comprensibilmente disturbante per chi lo voleva al riparo sotto l’ombra sicura degli anni ’80 o del sospirato rigore dei troppi Batman rivisitati all'infinito. Ma per chi non ha paura della discontinuità, è il Superman più interessante uscito sul grande e piccolo schermo da decenni.
Gunn mette da parte il cliché dell’origine per puntare su un eroe già formatosi: un Superman che lotta con la propria identità e un passato kryptoniano tormentato da un messaggio cifrato dei genitori biologici.
Non solo superpoteri, ma un dramma interiore autentico. Il film evita le ridondanze pur dovendo affrontare un'icona narrata in diversi film e in molte incarnazioni televisive.
Ed è sorprendente che un comic-movie sia anche un film politico: questo Superman è un migrante simbolico, ma ha anche una necessità impellente di effettuare un intervento in una guerra. Non dissimile da una guerra che conosciamo nella vita reale. L'atteggiamento di Superman genera reazioni contrastanti, sollevando questioni morali sull’ingerenza umanitaria . Un’operazione coraggiosa: non propagandistica, ma un invito a riflettere.
Con humor da Gunn (ricordiamoci che a lui dobbiamo i film dei Guardiani della Galassia), si respira un dinamismo che spazza via la cupezza dei film di Snyder. Lo stile è leggero, ironico e vivace, eppure il ritmo tiene, fruibile anche per chi storcerebbe il naso davanti al solito fumettone patinato. Molti fans dei film ispirati dai personaggi dei fumetti non sono più attratti da questo genere di pellicole, bisogna attrarli con un linguaggio reinventato, non giacere su allori oramai essiccati.
David Corenswet riesce a rendere Superman empatico, non un dio, ma un uomo con dubbi sinceri. Rachel Brosnahan offre una Lois Lane moderna e determinata, giornalista di spessore, non solo la ragazza dell'eroe. Nicholas Hoult incarna un Lex Luthor freddo, ossessionato e intelligente, un avversario credibile per il protagonista. Cattivo in maniera inquietante, privo del fascino dei Luthor un po' ironici che lo hanno preceduto in altre narrazioni. Gunn lo delinea come incarnazione credibile del male, un villain che sembra sbucare dal mondo reale. Se vi ricorda dei potenti odierni, se le cose che ha per le mani vi sembra di averle viste nei telegiornali del nostro tempo, non è un caso: è proprio lì che questa storia vuole colpire.
In qusto film non c’è traccia di "doverosi" omaggi agli anni Ottanta, di toni cupi che per anni hanno caratterizzato le narrazioni cinematografiche del DC Universe: niente “miracolo cinematografico”, niente rimandi nostalgici. Gunn punta a una autentica discontinuità che è una scommessa, per me, vinta.
Il film sta dividendo nettamente: da una parte chi lo definisce "woke" per l'enfasi sui migranti e la geopolitica; dall’altra chi apprezza la modernità e l’intelligenza della trama . Chi accusa il film di scarsa profondità e di adottare risoluzioni semplicistiche, chi ne riconosce il coraggio e l'intelligenza .
Secondo me il film è divertente e non annoia mai proprio perchè non è un ritorno al passato, né un remake celebrativo. È un Superman nuovo, umano, che mette in discussione la propria natura e il suo ruolo nel mondo. Politicamente coraggioso, con riflessioni su immigrazione e potere, funziona come divertimento intelligente, tra ironia e cuore.
Si può rinnovare anche una delle icone più sfruttate al cinema? Gunn ci dimostra che è possibile.
Il film è disseminato di trovate che definire “geniali” non è esagerato, perché riescono a sorprendere anche chi ha visto ogni versione possibile dell’Uomo d’Acciaio. Alcuni personaggi secondari — che non cito per non guastare il divertimento — rappresentano variazioni ironiche e affettuose di archetipi ormai scoloriti.
C’è un cane che sembra… un cane. Niente di più. Ma in questo mondo narrativo, anche un cane autenticamente cane può fare la differenza.
C’è un'impiegata "svampita" che lavora per il peggiore dei supercattivi e si innamora del più candido dei fotografi.
C’è persino una spiegazione, finalmente intelligente e coerente, per quella vecchia domanda: “Ma davvero bastano un paio di occhiali a nascondere Clark Kent?” (Sì, e quando lo scopri, ha pure senso).
Ci sono alieni, superumani, intelligenze artificiali, popoli oppressi e padri cosmici: ognuno inserito con una logica narrativa fresca e coerente, tra serietà e leggerezza.
Anche quando il film sembra flirtare con il paradosso comico (una stanza piena di scimmie che digitano a caso su tastiere), c'è sempre un fondo di intelligenza narrativa che lo rende funzionale, mai gratuito. Gunn prende in giro i cliché... ma li riabilita con affetto.
“Superman (2025)" è una sorpresa: un reboot che non chiede permesso. È un film divertente, umano e politicamente audace, senza paura di ridisegnare un’icona. Non un nostalgico omaggio, ma un documento sul presente. Comprensibilmente disturbante per chi lo voleva al riparo sotto l’ombra sicura degli anni ’80 o del sospirato rigore dei troppi Batman rivisitati all'infinito. Ma per chi non ha paura della discontinuità, è il Superman più interessante uscito sul grande e piccolo schermo da decenni.